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LA mamma
Un caffè con Genoeffa Cocconi, mamma dei fratelli Cervi dagli occhi rivoluzionari
19 luglio 2024
La mamma
In un periodo storico dove la massima espressione di sé è il selfie, o comunque l’apparire in un’immagine senza la necessità di saper fare o dire qualcosa di significativo, la figura di Genoeffa Cocconi in Cervi si erge in tutta la sua statura umana e morale.
Di questa donna, infatti, esistono solo due immagini: un primo piano austero, come si usava ad inizi Novecento, e al centro di uno scatto familiare, in cui appare più serena assieme ad Alcide, l’amato marito, e ai suoi figli.
Nasce nel 1876, in quella Reggio Emilia contadina nella quale al padre e al marito si dava del voi e dove il ruolo, e la vita, della donna era scandito dall’obbedienza e dalla subordinazione. Le aspirazioni e le ambizioni si racchiudevano nella gestione della famiglia, in quanto “così era sempre stato”.
In Emilia-Romagna, però, la figura femminile viene decisamente definita da un termine: “rezdora”. O “arzdoura”, parola dialettale derivante dal verbo latino “regere” ovvero dirigere, con la quale, nelle campagne emiliane, si chiamava la moglie dell’“azdour”. La rezdora non era solo la donna che affiancava il capofamiglia nella gestione della vita famigliare quotidiana, ma aveva il compito di amministrare la casa ed essere responsabile di tutto quello che accadeva all’interno delle mura domestiche. Un amministratore delegato, in sintesi, che gestiva attivamente tutte le “direzioni operative” di una casa di campagna: l’accudimento dei figli, ma anche la cura dell’orto e della corte, spesso della stalla con la raccolta del foraggio per il bestiame. Nel tempo libero tesseva e filava e non poteva esimersi dalla mietitura e dalla vendemmia.
Se nel web la parola rezdora il più delle volte viene associata all’immagine gentile di mani femminili che tirano la sfoglia, nel caso di Genoeffa sono due quelle che la definiscono al meglio: i libri e un trattore rosso sul cofano del quale fa bella mostra di se un mappamondo. E in queste due immagini si respira la forza incredibile di questa donna, che non si è mai arresa al mantra “si fa così da sempre”.
Non abdicò mai ai compiti che dal suo ruolo ci si aspettava venissero svolti ma li guardò, e con essi il ruolo e la figura della donna, con occhi rivoluzionari, affidando appunto alla lettura, alla cultura, all’innovazione la possibilità di rendere meno gravosa anche la vita dei contadini maschi.
Alla sera, riuniva la famiglia nella stalla e sotto la luce fioca della candela, leggeva alle figlie e ai figli brani tratti dalla Bibbia e dai romanzi, come quelli scritti dal Manzoni. E raccontava loro “storie” per avvicinali all’importanza del sapere e della cultura.
Insegnava ai suoi ragazzi e ai contadini con i quali condivideva una vita durissima, e che iniziarono a raccogliersi attorno alla sua famiglia, la lotta gentile per la libertà, per il progresso materiale, morale e soprattutto civile. Parlò alle donne, e ai loro uomini, di parità dei diritti, di affermazione dei diritti fondamentali degli esseri umani, “cioè chi siamo, o chi dovremmo essere, da dove veniamo e soprattutto dove dobbiamo andare.”
Al ritorno dai campi, quelli che vennero dissodati, spianati, irrigati e resi più fertili grazie alle letture e all’uso delle moderne tecnologie allora conosciute (come l’acquisto appunto del trattore, il primo a Gattatico) lo sguardo si raccoglieva sul mappamondo, dal quale bisognava poi ripartire ogni mattina, lottando contro una fatica fisica alla quale non bisognava permettere di sfiancare anche la mente, l’animo, la morale, le ambizioni.
“Fatti non foste a viver come bruti”: è l’accorato appello che Dante scrisse secoli prima, “ma per seguir virtute e canoscenza”, a spronare così a non arrendersi all’imbarbarimento dell’essere umano. Immagino sia stato questo il mantra di Genoeffa, magari mentre tostava sul fuoco del camino i chicchi di quella pianta che arrivava da posti così lontani e mai visti, ma non per questo meno reali e preziosi.
Muore nel novembre del 1944, con il cuore spezzato dal devastante dolore causato dalla fucilazione dei sette figli maschi, trucidati dai fascisti pochi mesi prima.
La madre che educava i figli all’amore per la giustizia, la solidarietà e la libertà ha sconfitto gli orrori del secolo breve ed è giunta fino a noi nei Campirossi e nelle stanze di Casa Cervi, che nel frattempo è diventato Museo Cervi (www.istitutoalcidecervi.it) dove, accarezzando il mappamondo, potrete respirare la forza didattica di una madre che continua ad insegnare valori fondamentali ancor oggi, a tutti noi.
ANNA MARIA PELLEGRINO
Gastrònoma e foodblogger.
Ama la bella cucina e narrarla alle persone.
Per il magazine Goppion ha curato nel 2022 la rubrica “Le Colazioni di Anna Maria”, nel 2023 ci ha portato a fare il giro del mondo con “Il caffè degli altri” e per questo 2024 ci racconta la storia di 12 donne attraverso una tazzina di caffè nella rubrica “Donne&Caffè”