26 NOVEMBRE 2024
La pittrice
“Ti meriti un amore che ti spazzi via le bugie che ti porti il sogno, il caffè e la poesia”.
Sono settant’anni che Frida Kalho non è più tra noi, scomparsa il 13 luglio 1954 a Città del Messico, stesso Paese e stessa città nella quale era nata nel 1907. Anche se, per la verità, Frida amava raccontare che era nata nel 1910, anno della rivoluzione messicana.
Non fu solo una pittrice: fu un’artista d’avanguardia che si dedicò caparbiamente anche alla valorizzazione della cultura indigena del Messico precolombiano. E in questo, secondo me, sta il vero senso della parola “rivoluzione”, intesa appunto come “mutamento, trasformazione, innovazione radicale”. Anche gentile.
Non fu solo un’artista d’avanguardia, dunque, e mise questo sentimento rivoluzionario, appunto, soprattutto nella determinazione del genere femminile, in un periodo storico in cui alle donne era proibito indossare abiti maschili, che lei amava, e rivendicare il diritto, tra i molti, di amare chi voleva.
Certo, potreste dirmi, ma nel tempo e nel mondo moltissime sono state le figure femminili che hanno combattuto per i diritti civili. È vero, potrei rispondervi, ma non dopo aver subito oltre trenta interventi chirurgici.
All’età di sei anni fu colpita dalla poliomielite che la costrinse in ospedale per nove mesi. Affrontò e superò la malattia che le lasciò in dote una gamba offesa e che le procurò, a scuola, il soprannome di “Frida gambadilegno”. Il bullismo che dovette sopportare la ferì, ma non la spezzò e durante il percorso scolastico forte in lei nacque il desiderio di dedicarsi allo studio della medicina.
“Credevo fosse questa la mia missione”, raccontò, ma all’età di diciotto anni un tram travolse l’autobus nel quale stava viaggiando e venne portata in ospedale con un quadro clinico devastante: colonna vertebrale spezzata in tre punti, piede destro schiacciato, gamba sinistra frantumata in undici punti, spalla sinistra lussata, osso pelvico spezzato. Spezzata dentro e fuori, e il lunghissimo periodo trascorso in ospedale, durante il quale soffrì di intensa solitudine, fu propedeutico alla sua personale rivoluzione. Immobile a letto per lunghi mesi con un busto in gesso, i genitori le portarono carta e penne, con i quali scrisse dei libri sul movimento comunista, oltre a tele, pennelli ed un particolare letto a baldacchino con uno specchio, con i quali iniziò a raccontare se stessa attraverso gli autoritratti. “Dipingo me stessa perché passo molto tempo da sola e sono il soggetto che conosco meglio“ affermò.
Dipingere fu il modo per sopportare i forti dolori che non l’abbandonarono mai e fu anche il modo rivoluzionario per accettare e superare quanto il destino, decisamente cinico e baro, le stava offrendo. Al quale rispose con una sorta di furiosa determinazione nell’amare la vita e con una dose di sana ironia nel dipingersi, spesso, con il costume tipico delle donne di Tehuantepec, un comune di Oaxaca. Contribuì così ad una narrazione insolita e femminista dell’altra metà del cielo, protagonista determinata di una società matriarcale, come appunto quella di Tehuantepec.
Sottopose i suoi quadri a Diego Rivera, un pittore muralista messicano molto conosciuto e molto impegnato politicamente, che ne rimase letteralmente folgorato. Si sposarono e fu una relazione decisamente travagliata, a causa dei ripetuti e sfacciati tradimenti di lui, e attraverso la quale comprese ancora di più l’importanza della libertà di esprimere se stessa, sempre e comunque.
“A cosa mi servono le gambe se ho le ali per volare?” affermò quando, un anno prima della morte a soli quarantasette anni, le fu amputata una gamba. Nel suo diario, nel quale trasferiva pensieri, emozioni, quotidianità, scrisse „Spero che l’uscita sia gioiosa e spero di non tornare mai più.” Nel museo a lei dedicato, Casa Azul, ubicato in un sobborgo di Città del Messico, sono conservate le sue ceneri e parte importante dei suoi quadri, oltre a quelli di altri e famosi pittori contemporanei.
Quello che mi posso augurare è che l’opera d’arte che è stata la vita di una donna così speciale non finisca solo ad essere relegata in un’icona pop con la quale decorare t-shirt e mug.
Bisognerebbe rimanerne folgorati, come accadde al marito farfallone, che comunque trascorse la propria vita a far conoscere il valore della moglie: „Frida è la prima donna nella storia dell’arte ad aver affrontato con assoluta e inesorabile schiettezza, si potrebbe dire in modo spietato ma nel contempo pacato, quei temi che riguardano esclusivamente le donne”.
Come se non ce ne fosse ancora bisogno a oltre cent’anni dalla sua nascita.
ANNA MARIA PELLEGRINO
Gastrònoma e foodblogger.
Ama la bella cucina e narrarla alle persone.
Per il magazine Goppion ha curato nel 2022 la rubrica “Le Colazioni di Anna Maria”, nel 2023 ci ha portato a fare il giro del mondo con “Il caffè degli altri” e per questo 2024 ci racconta la storia di 12 donne attraverso una tazzina di caffè nella rubrica „Donne&Caffè“